lunedì 6 luglio 2009

Un altro viaggio terrestre e celeste di Simone Martini

Mi sembra di assistere ad un altro viaggio terrestre e celeste di Simone Martini.

Come i grandi toscani Martini e Luzi hanno affrescato il Sommo Bene, così ci capita d'imbattersi in chi - come me - al Bene Comune crede ancora, qualunque cosa pensi e/o creda, e lo manifesta con parole chiare e inequivocabili.

Mi riferisco alla omelia che Mons. Mariano Crociata ha tenuto in occasione dell'anniversario di Santa Maria Goretti che quivi ripropongo in calce: parole come pietre come si addice a chi parla in pubblico in momento di estrema difficoltà e pericolo, proprio come quello che sta inconsapevolmente attraversando l'Italia.

Di rado ho letto parole tanto piene e al tempo stesso tanto dure e ferme.

Potrei professare un'altra religione, ma il testo scritto da un uomo di Chiesa per una ricorrenza tipicamente "cattolica" è il paradigma dell'umanesimo laico che pone l'accento sul significato pieno della natura umana, della sua comprensione e, soprattutto, della sua dignità che assurge a un valore davvero universale.

Mai discorso sul piano particolare e religioso si fa politico e universale: se le nostre società non saranno risemantizzate nella loro laicità, allora sarà molto difficile avere pace, sviluppo e prosperità, in altre parole, quel Buon Governo disegnato da Simone Martini nel suo viaggio terrestre e celeste.

Allego la citazione - secondo me la parte più dura – tratta dall'omelia di Mons. Mariano Crociata del 6/7/2009.

"Abbiamo bisogno di riscoprire che il corpo non è un oggetto di cui usare dissennatamente, che anche il corpo è persona; e la sessualità ne è la dimensione più profonda e intima, che orienta e dirige all’amicizia, all’amore e alla comunione. Abbiamo bisogno di riscoprire che siamo fatti per amare nel rispetto di noi stessi e degli altri, secondo l’ordine scritto nella nostra natura prima che nelle pagine della Bibbia. A questa capacità di amare autenticamente, cioè nella logica del dono e non del consumo egoistico e dello sfruttamento, abbiamo bisogno di educarci e lasciarci continuamente rieducare. Una libertà intesa come sfrenatezza e sregolatezza non porta affatto all’autentica espressione di sé e alla gioia dell’amore, ma all’uso dell’altro, alla sua sottomissione e all’annullamento come persona. La violenza che giunge ad uccidere si colloca in continuità con l’alienazione di relazioni disordinate, anzi ne costituisce la logica conseguenza. Se l’altro è solo un oggetto del mio desiderio, e uno strumento del mio piacere, allora posso farne quello che voglio. Se l’altro invece è il destinatario del dono di me stesso e una persona che risponde con il libero dono di sé al mio amore, allora non posso usarlo e sfruttarlo a piacimento. Se l’altro è un altro me stesso, se è immagine e somiglianza di Dio, allora la relazione d’amore dona gioia e libertà, diventa perfino manifestazione dell’amore creatore di Dio, che vediamo pienamente compiuto nel matrimonio e nella famiglia.

Al senso di una tale esperienza della sessualità, della corporeità e della dignità della persona umana ci si educa lungo un processo che dura tutta la vita. E l’educazione all’amore abbraccia atteggiamenti come il rispetto del corpo, la custodia della sessualità, insieme alla preparazione alla capacità di donarsi totalmente in una autentica relazione di amore che trova nel matrimonio e nella famiglia il luogo del suo compimento. Purezza e castità riappaiono come valori costitutivi di un tale percorso formativo, in cui ci sono responsabilità di genitori ed educatori, e responsabilità di istituzioni e della società intera. Come ha ricordato anche di recente il cardinale Bagnasco: «Le responsabilità sono di ciascuno ma conosciamo l’influsso che la cultura diffusa, gli stili di vita, i comportamenti conclamati hanno sul modo di pensare e di agire di tutti, in particolare dei più giovani che hanno diritto di vedersi presentare ideali alti e nobili, come di vedere modelli di comportamento coerenti».

E invece assistiamo ad un disprezzo esibito nei confronti di tutto ciò che dice pudore, sobrietà, autocontrollo e allo sfoggio di un libertinaggio gaio e irresponsabile che invera la parola lussuria, con cui fin dall’antichità si è voluto stigmatizzare la fatua esibizione di una eleganza che in realtà mette in mostra uno sfarzo narcisista; salvo poi, alla prima occasione, servirsi ipocritamente del richiamo alla moralità, prima tanto dileggiata a parole e con i fatti, per altri scopi, di tipo politico, economico o di altro genere. Nessuno deve pensare che in questo campo non ci sia gravità di comportamenti o che si tratti di affari privati; soprattutto quando sono implicati minori, cosa la cui gravità grida vendetta al cospetto di Dio. Dobbiamo interrogarci tutti sul danno causato e sulle conseguenze prodotte dall’aver tolto l’innocenza a intere nuove generazioni. E innocenza vuol dire diritto a entrare nella vita con la gradualità che la maturazione umana verso una vita buona richiede senza dover subire e conoscere anzitempo la malizia e la malvagità. Per questa via non c’è liberazione, come da qualcuno si va blaterando, ma solo schiavizzazione da cui diventa ancora più difficile emanciparsi."

CONCORDIA RES PARVAE CRESCUNT